di Roberto Gremmo – Il femminicidio e’ un delitto ignobile ma antico, e per onorare le povere vittime persino la Chiesa Cattolica ha voluto portare sugli altari delle sfortunate giovani che vennero barbaramente eliminate da uomini che volevano possederle con la forza e furono respinti.
Maria Goretti e’ certo la più nota di queste donne uccise per sottrarsi ad un tentativo di stupro. Mori’ dodicenne nelle paludi Pontine nel 1902 e venne canonizzata da papa Pio XII nel 1950.
Molto simile alla sua e’ la vicenda d’una povera adolescente uccisa in Sardegna il 7 maggio 1935 per un’aggressione a sfondo sessuale e beatificata il 4 ottobre 1987 da papa Giovanni Paolo II.
Dopo una lunga ricerca d’archivio, la sua storia, triste e dolorosa prima e gloriosa ed edificante poi, viene rievocata da Alberto Vacca e Antonio Aredda nel documentato saggio “La vergine del Supramonte” (Editziones Nor, carrera Lombardia 11 – 09074 Ilartzi, pag. 144, euro 15); un libro che correttamente inquadra l’episodio nel fallimento della politica d’ordine fascista incapace di debellare il crimine, ma soprattutto punta il dito sulla mitizzazione del suo sacrificio.Vacca ed Areddu ricordano infatti che quello di Antonia Mesina non può venir considerato un evento eccezionale, ma fu uno dei dodici efferati omicidi di donne e bambine compiuti in Sardegna durante il fascismo; diventato famoso solo “grazie alla mistificazione che ne e’ stata fatta da parte del mondo cattolico, che ha trasformato la ragazza di Orgosolo in un’icona di “martire della purezza” come quella di Maria Goretti.
L’omicidio di Antonia Mesina, pero’, non e’ affatto diverso da quello delle altre donne uccise nell’Isola, nello stesso periodo, nel tentativo di una violenza carnale. Ne’ quest’ultimo e’ l’unico motivo che scatena l’inaudita violenza degli assassini contro le donne da loro massacrate, perché con esso concorrono l’estorsione, la vendetta privata e la rapina” o oscuri motivi abietti, come nel caso di una dodicenne di Aidomaggiore, “trucidata dal parroco del paese e dalla sua amante”.
Per un caso assolutamente eccezionale (soprannaturale?) della Beata Mesina esiste una fotografia (in copertina nel libro) scattatale dal celebre filologo friulano Ugo Pellis durante un viaggio di studio sull’Isola per documentare il patrimonio folkloristico di “su populu sardu” senza ovviamente prevedere che la timida giovinetta che aveva accettato di posare nel costume tradizionale di Orgosolo sarebbe diventata un’icona della fede.
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